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Ogni giorno siamo esposti a situazioni potenzialmente stressanti e il modo in cui reagiamo a queste ha a che vedere con le nostre emozioni e ha un impatto profondo sulla nostra salute e sulla nostra qualità di vita. Le risposte fisiologiche che il nostro corpo mette in atto per fronteggiare un evento percepito come stressante hanno un valore adattivo fondamentale, per esempio ci permettono di mobilitare le energie necessarie ad affrontare i cambiamenti e le richieste presentate dall’ambiente in cui viviamo. Tuttavia, quando lo stress diventa cronico, tutti gli aggiustamenti, a carico del sistema nervoso centrale, di quello immunitario, di quello neuroendocrino e neurovegetativo che il nostro organismo mette in atto, aumentano in quantità ed intensità e possono condurre a una condizione di sovraccarico che se perdura può avere serie conseguenze per la nostra salute. Diventa quindi fondamentale valutare quali possono essere i fattori comportamentali ed emotivi che permettono alle persone di evitare questo tipo di sovraccarico, in modo da promuovere un buon adattamento alle situazioni di stress. Esistono però delle differenze individuali nella reattività allo stress, che dipendono da molteplici fattori: cognitivi, comportamentali, emotivi e di personalità che influenzano la risposta di stress anche da un punto di vista fisiologico. Noi vogliamo comprendere quali sono le conseguenze, a livello neurobiologico, delle nostre reazioni emotive davanti a una situazione stressante. Per esempio, reagire con rabbia non ha gli stessi effetti di una reazione di ansia o di paura e questo può avere delle conseguenze anche a livello biologico. Noi misuriamo le differenze nella risposta emotiva di stress analizzando con un software le espressioni facciali, considerate da tempo un indice attendibile dell’emozione espressa da un individuo. Una volta identificata la relazione tra particolari espressioni di stati emozionali, durante l’esposizione a uno stress acuto in laboratorio, e differenti risposte fisiologiche (misurando in modo non invasivo i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress e analizzando la variabilità della frequenza cardiaca), vogliamo verificare, attraverso test standardizzati, quanto questo possa influenzare il nostro livello di empatia, ovvero la capacità di entrare in contatto con le emozioni di un’altra persona e di comprendere ciò che sta provando, caratteristica fondamentale della relazionalità umana. Il grado in cui riusciamo ad empatizzare con un altro individuo potrebbe infatti dipendere dal nostro stato emotivo e dalla nostra predisposizione a percepire gli indizi sociali presenti nelle varie situazioni, variabili che potrebbero essere influenzate dalla precedente esposizione ad un contesto stressante. Lo scopo ultimo è quello di creare un modello biocomportamentale che integri gli aspetti emotivi con quelli fisiologici e che identifichi i fattori che conducono a risposte migliori in termini di esiti di salute e relazionali. Questa differenziazione può condurre inoltre a una migliore comprensione delle disfunzioni affettive presenti nei disturbi dell’umore, nei disturbi d’ansia e in molte patologie stress correlate.