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“I ricercatori dovrebbero assicurare che le loro attività di ricerca siano rese note alla società in senso lato in modo tale che possano essere comprese dai non specialisti, migliorando in questo modo la comprensione delle questioni scientifiche da parte dei cittadini. Il coinvolgimento diretto dell’opinione pubblica consentirà ai ricercatori di comprendere meglio l’interesse del pubblico nei confronti della scienza e della tecnologia e anche le sue preoccupazioni”.
Lo leggiamo nella carta europea dei ricercatori, alla voce Impegno verso l’opinione pubblica.
Informare, dunque: ma come e perché?
L’Eurobarometro 2010, come già il precedente, disegna il quadro di un’opinione pubblica fortemente interessati alla scienza, ma anche preoccupata in merito ai rischi posti dalle nuove tecnologie e al potere che la scienza conferisce agli scienziati. Inoltre, denuncia ancora un gap di comprensione tra questi e la società: il cittadino europeo si sente male informato, e rivendica il diritto di essere coinvolto nel processo decisionale che governa la ricerca.
Informare, quindi, perché l’opinione pubblica lo chiede e soprattutto perché ne ha diritto: in una società di rischio, come la definisce il sociologo Ulrich Beck, in cui l’immagine della scienza come un sapere certo e affidabile è ormai irrimediabilmente superata, il cittadino non può più accettare di subire scelte verticistiche – sia pur supportate dalle opinioni di esperti riconosciuti – senza essere adeguatamente informato e coinvolto.
La matematica, in questo contesto, ha una peculiarità: da una parte, infatti, è vista forse come meno “pericolosa” rispetto alle altre scienze, in quanto non direttamente collegata a problematiche di attualità percepite come spinose (si pensi per esempio al tema degli ogm, o del nucleare). D’altra parte, però, è la scienza più martirizzata dal pregiudizio: troppo spesso la si vede come una disciplina arida, fredda, a siderale distanza dalla vita quotidiana, i cui risultati sono stati stabiliti chissà da millenni fa e non sono suscettibili di revisione. Una ragione in più per spingerci a comunicarla, facendola uscire dalle aule di ogni ordine e grado per farla entrare, come deve, nella società.
Il problema è come farlo.
I ricercatori, di per sé, non sono formati a comunicare i loro risultati a un pubblico di non esperti né, spesso, sono interessati a comunicare al pubblico generico la bellezza e l’importanza della loro disciplina. Questo, improvvisandosi comunicatori, rischiano di cadere in molte trappole, prima tra tutte quella di credere di avere davanti un pubblico ignorante e vuoto, da riempire con nozioni semplificate, in un opera, letteralmente, di divulgazione.
Non è questo che viene chiesto loro: per tornare ai risultati degli Eurobarometri, si registrano forti critiche al modo in cui gli scienziati si rivolgono al pubblico, monologando invece di dialogare.
E’ invece necessario ascoltare il pubblico, per capirne le preoccupazioni.
Il mio progetto di ricerca si propone di individuare e testare nuove tecniche di comunicazione e didattica informale delle scienze in genere e della matematica in particolare. Dopo aver analizzato in dettaglio le esperienze già effettuate in Italia e all’estero, confrontandole per evidenziare punti di forza e debolezze, dedicherò all’individuazione di quei format di comunicazione (per conferenze, caffè scientifici, spettacoli di teatro scienza, ecc…), nuovi o meno, che possano funzionare nel territorio specifico e nel periodo storico particolare in particolare in cui mi trovo ad operare: le Marche del dopo terremoto. Ritengo infatti che implementare attività di comunicazione in un contesto come questo possa essere cruciale per “fare comunità”, in un momento in cui tutte le dinamiche “normali” sono sovvertite e prevale un senso di ineluttabilità e sconfitta.
Lo scopo a cui penso è quindi (almeno) duplice: da una parte, nel lungo periodo, arrivare a non sentire più (almeno sentire meno spesso) la frase, davvero priva di senso, “io la matematica non la capisco”: nessuno si sognerebbe di dire “io la geografia non la capisco”, o “io la letteratura non la capisco”, e sono profondamente convinta che sia una perversione avere invece questa chiusura a priori nei confronti di una disciplina che può rappresentare una bellissima avventura intellettuale per chi sia accompagnato ad accostarvisi senza pregiudizi.
Dall’altra parte, conto sul progetto culturale di organizzazione di caffè scientifici e spettacoli di teatro scienza, in collaborazione con i comuni colpiti dal terremoto e con le associazioni di cittadini formatesi di conseguenza, per stimolare la vita culturale delle comunità così duramente colpite, nell’idea che lavorare assieme a progetti di questo tipo sia un buon modo per dimostrare, coi fatti, che “il futuro non crolla”