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Il gusto di indossare oggetti per abbellire la persona non conosce confini né temporali né spaziali. Nel Medioevo le donne, ma anche gli uomini, hanno sempre cercato di esaltare la propria figura a volte esagerando tanto da incorrere spesso nei divieti imposti dalla legislazione suntuaria. Nel caso dell’Italia meridionale, la prima normativa risale al 1290, in piena età angioina ed era dichiaratamente diretta alle classi agiate. Per il mondo popolare, le leggi suntuarie non erano adottabili, ma questo non significa che non vi fosse la ricerca del bello. Le donne, in particolare, che abitavano le città, i villaggi cercavano al pari delle classi agiate di soddisfare la propria voglia di bellezza attraverso oggetti realizzati in materiali meno preziosi come l’oro e l’argento che spesso imitavano quelli in uso dalle classi privilegiate. Fino al tardo Medioevo, la vanità femminile nell’abbigliamento è legata più che alla ricercatezza degli abiti, agli oggetti che li impreziosivano. Le donne indossavano semplici e lunghe tuniche generalmente realizzate in canapa o lino (Linum usitatissimum) fermate in vita da lunghe fasce dello stesso tessuto impreziosite da applicazioni e fibbie in metallo (lega di rame) che davano luce ad abiti dai colori piuttosto sbiaditi come il morello (tendente al nero), il blavo (azzurro chiaro – azzurrognolo celeste), il grigio e l’ecrù. L’uso di piccoli bottoni sferici in metallo come decoro delle maniche e per la chiusura delle vesti, completavano l’abbigliamento femminile. Le vesti indossate dagli uomini erano decisamente più semplici: corte tuniche fermate in vita da alte cinture in cuoio con fibbie generalmente in ferro, funzionali a sorreggere gli arnesi da lavoro. Per le donne, agli orecchini in bronzo con pendenti in metallo o in paste vitree spesso associati ad anelli completati da castoni con vetri colorati, si aggiunge nel corso del Trecento e Quattrocento il crescente interesse per gli ornamenti del capo. Gli accessori dei capelli sotto forma di nastri in seta, coroncine decorate da applicazioni in metallo, pasta vitrea e perle dovevano essere comuni tra le donne di qualsiasi status sociale. Nel Salento, eccezione di pochi semplici spilli in metallo funzionali a fermare le acconciature o forcine per capelli, non si conoscono archeologicamente una vasta gamma di oggetti che le donne utilizzavano per rendere vezzoso il proprio aspetto come risposta al divieto di mostrare in pubblico i capelli al naturale. Il progetto si propone, ampliando le conoscenze già acquisite nel corso degli ultimi anni e contestualmente di comunicare ad un pubblico di non specialisti il quadro variamente articolato della bellezza femminile nel territorio salentino, poco noto al grande pubblico, che riflette un gusto comune che abbraccia territori geograficamente distanti, dall’Inghilterra fino alla Turchia passando per la penisola italiana e la Francia.